MIX COL MAESTRO
- Marco Schnabl

- 26 nov 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 2 ott

In ogni professione che si rispetti c'è sempre uno standard di riferimento, una vetta a cui si cerca di tendere per avere certi risultati. Così è anche nella professione del mixing engineer. La totalità della musica ascoltata su diversi formati passa dalle mani di un M.E. sin dai tempi delle prime registrazioni in multitraccia. Dalle sue mani e soprattutto dai suoi orecchi dipende il risultato sonoro finale di un album. La figura del M.E. è spesso poco compresa soprattutto da queste parti perché relegata alla funzione di esecutore della volontà dell'artista. In altri ambienti dell'industria musicale essa è invece tenuta in altissima considerazione. Il motivo è semplice: il mixing engineer è paragonabile ad un pittore che dipinge un ritratto che gli è stato commissionato seguendo il proprio stile personale e senza "compiacere" il cliente. Del resto questo è esattamente il senso del commissionare a qualcuno qualcosa che non si sa fare e che abbia come risultato un prodotto artistico.
Al mondo ci sono moltissimi mixing engineers che fanno il proprio lavoro accumulando crediti su album di minore o maggiore successo. Tchad Blake è uno di questi. Tchad ha mixato dischi di musicisti di successo. Nel suo portfolio ci sono Sheryl Crow, Finn Brothers, Los Lobos, Arctic Monkeys, Peter Gabriel, Pearl Jam, U2, Tom Waits, Crowded House, Soul Coughing, Tracy Chapman e l'elenco è troppo lungo per questa pagina. Insomma Tchad è uno dalle cui mani viene fuori il "sound" di moltissima musica che si ascolta in giro. Fortunatamente è anche musica che conta.
Nell'ottobre appena passato ho partecipato ad una masterclass di una settimana con Tchad Blake allo Studio La Fabrique di St. Remy de Provence. La masterclass faceva parte dei seminari di Mix With The Masters e insieme a me altri 18 ragazzi erano là a testimoniare il lavoro di Tchad al suo fianco. In pratica È stato come stare una settimana nell'atelier di Rembrandt guardandolo lavorare e potendogli fare qualsiasi domanda.

Eravamo ogni giorno dalle 10 alle 18 (ufficialmente) in regia davanti ad un banco Neve 88R da 72 canali, comodamente seduti a veder lavorare Tchad che in una settimana ha mixato 19 brani (uno per ognuno di noi) completamente "in the box" su Pro Tools mentre due enormi schermi ci permettevano di guardare e studiare ogni passo dei suoi mix in tempo reale.

Credo che questa situazione sia quella a cui ogni aspirante mixing engineer vorrebbe partecipare, considerando il fatto che è pressoché impossibile esserci a meno che non si abbia la fortuna di lavorare come assistenti in uno studio di largo formato. Durante le lunghe ore di lavoro ho potuto testimoniare in tempo reale il modus operandi di Tchad imparando soprattutto un nuovo approccio al mixing e confermando la mia opinione secondo cui per mixare non c'è assolutamente bisogno di un grande studio ma soltanto di padronanza tecnica, gusto ed orecchi allenati. Certo, guardare Tchad distorcere gran parte delle tracce e cambiare volutamente gli arrangiamenti è stato illuminante ed ha ulteriormente corroborato la mia opinione secondo la quale il mixing engineer è un artista a tutti gli effetti.
Quando non eravamo in regia passavamo il tempo in giardino ad ascoltare Tchad rispondere ad innumerevoli domande su qualsiasi cosa riguardante il suo lavoro o la sua vita in un'atmosfera da seminario filosofico. Difatti tutta la settimana è stata una immersione totale nella filosofia del mixing.
A parte le questioni tecniche sulle quali non mi dilungo, devo confessare che la cosa che mi ha colpito di più è stato proprio osservare Tchad. Un sessantacinquenne che dimostra trentacinque anni e che si comporta come un ragazzo con una totale disponibilità ed umanità nei nostri confronti che raramente ho incontrato tra gli esseri umani, il primo ad arrivare a colazione e l'ultimo ad uscire dalla regia a notte fonda, sforando i tempi di lavoro per darsi totalmente a noi tutti accontentando ogni richiesta. Se ci sono ancora uomini così allora c'è ancora speranza che questo pianeta possa essere migliore.

Tirando le somme, è stata una settimana davvero fuori dal comune per me e per tutti gli altri ragazzi (francesi, peruviani, venezuelani, danesi, tedeschi americani ed austriaci) che erano al La Fabrique. Il mio consiglio per gli aspiranti mixing engineers è di smettere di farsi seghe pensando a plug-ins e robe del genere ed incominciare a sviluppare il proprio gusto personale. È così che si diventa grandi professionisti.
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